E’ la notizia che tanto attendevamo: finalmente anche il Parkinson potrà essere debellato se scoperto in fase iniziale e dare la possibilità di vivere meglio. Scoperto legame tra malattia e variazioni flora batterica. Studio dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova
E se il Parkinson si potesse predire con un semplice esame del sangue? La strada è quella giusta, almeno secondo quanto scoperto da un team di ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento) e con la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma.
Nel loro studio, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Metabolomics, si arriva a delle conclusioni che lasciano tutti a bocca aperta, soprattutto le donne, poiché si è scoperto che esiste un rapporto tra alcuni tipi di lipidi (grassi) misurabili nel sangue e prodotti dalla nostra flora intestinale (microbiota) e la malattia di Parkinson.
Lo studio, che porterebbe ad una scoperta favolosa, suggerisce che le alterazioni nella popolazione di batteri che vivono dentro il nostro intestino potrebbero essere associate all’insorgenza della malattia.
La ricerca, il progresso
La ricerca, coordinata dai ricercatori IIT Andrea Armirotti e Angelo Reggiani, con la collaborazione del ricercatore FSL Gianfranco Spalletta e condotta in collaborazione con l’Unità di Biologia Computazionale del Centro Ricerca ed Innovazione della Fondazione Edmund Mach, è stata effettuata prendendo dei campioni di sangue di uomini e donne di età compresa tra 40 e 60 anni, per un totale di 587 individui (268 malati e 319 sani suddivisi in 294 donne e 293 uomini).
I risultati mostrano chiaramente che siamo difronte al progresso: la concentrazione di 7 particolari lipidi, chiamati NAPE (N-acil fosfatidiletanolammine), nel sangue dei soggetti affetti da Parkinson è diminuita di circa il 15% rispetto agli individui sani. Per ragioni attualmente che non sono note, tale diminuzione risulta significativamente più marcata nelle donne, fino a raggiungere anche il 25%.
Uno dei ruoli di questi grassi nel nostro organismo è di proteggere le cellule mantenendone l’integrità strutturale. Nel caso in cui le cellule che compongono il nostro cervello, i neuroni, vengano danneggiate, come appunto avviene nella malattia di Parkinson, esse “prelevano” i NAPE dal sangue diminuendone la concentrazione circolante nel nostro organismo.
La novità che dà speranza
Questa scoperta ha portato il team di ricercatori ad ipotizzare che un’alterazione della flora intestinale, dove vengono prodotti questi lipidi, possa portare ad un aumento della probabilità di insorgenza della malattia di Parkinson.
Molte le dichiarazioni e pubblicazioni su riviste scientifiche e i medici dicono:
“Il nostro studio dimostra che questi lipidi plasmatici, facili da misurare con un semplice prelievo di sangue, hanno il potenziale per diventare, dopo doverosi studi di verifica e validazione, un indicatore efficace della malattia di Parkinson. I dati da noi raccolti indicano che questi lipidi sono in grado di identificare la malattia nelle donne con una efficacia prossima al 90%. La vera sfida è adesso capire quanto precocemente possiamo usare i NAPE per predire l’insorgenza futura del Parkinson.” racconta Andrea Armirotti ricercatore IIT tra i coordinatori dello studio.
Tale tecnica potrebbe, nel giro di pochi anni, essere utilizzata nella pratica clinica come procedura di screening diagnostico a basso costo.
Questo studio, inoltre, suggerisce l’importante ruolo di alimentazione, stile di vita, stress emotivo e fattori ambientali nell’insorgenza di malattie legate al sistema nervoso. Infatti, questi fattori possono alterare la popolazione batterica della nostra flora intestinale diminuendo così la produzione di NAPE necessari a proteggere l’integrità delle nostre cellule.
Queste notizie ci rallegrano molto, ci fanno sperare che molte di queste malattie possano essere sconfitte e che molti possano avere vita serena.