Nella legge di bilancio, è stata fatta una piccola modifica ma tutto è passato inosservato e riguarda le pensioni.
E’ bastato sostituire 3 parole nella legge di bilancio di Agosto, per rinviare al 2023 la rivalutazione piena sugli assegni previdenziali.
Il risultato? Assegni più bassi e nessun aumento sull’importo che spetterebbe ai pensionati. Il testo della bozza della manovra pubblicato dal Mef parla chiaro: “All’articolo 1, comma 477, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, le parole “Per il periodo 2020-2021” sono sostituite dalle seguenti: “Per il periodo 2020-2022” e al comma 478, le parole “Dal 1° gennaio 2022” sono sostituite dalle seguenti: “Dal 1° gennaio 2023”. Dietro questa modifica si cela una vera e propria fregatura per milioni di pensionati italiani.
Ogni pensionato, a Gennaio 2022 avrebbe ottenuto un aumento dell’assegno pensionistico, una sorta di pareggiamento, in base all’andamento dei costi della vita. Ma senza far sapere nulla a nessuno, il Governo ha posticipato tale possibilità, lasciando i pensionati con misere pensioni fino al 2023.
Grossa bufera nel mondo dei sindacati, che si sono subito scagliati contro: “Riteniamo assolutamente inaccettabile che il Governo voglia differire ancora una volta la rivalutazione delle pensioni. Per la Federazione dei Pensionati della Cisl questa è una scelta inopportuna e oltremodo grave“, ha riferito la Cisl Pensionati di fronte all’eventualità contenuta nella bozza della legge di bilancio. “Ancora una volta – dichiara la Fnp Cisl – il Governo non mantiene le promesse assunte con l’accordo con le Organizzazioni sindacali del 2017 di procedere alla rivalutazione delle pensioni e, addirittura, differisce al 2023 il meccanismo di perequazione più equo e proporzionale previsto dalla legge n. 388/2000″.
Il Governo aveva dato davvero pochi spiccioli a migliaia di pensionati portando la rivalutazione al 100% anche per gli assegni fino a 4 volte il minimo che erano invece bloccati ad una rivalutazione del 97%. Briciole. Infatti per gli altri assegni superiori a 4 volte il minimo la rivalutazione decresce in questo ordine man mano che l’importo cresce: al 77%, 52%, 47%, 45% e 40%.
Anche la Cgl accusa il governo: “Ancora una volta – spiga l’organizzazione sindacale- si sceglie quindi di mettere le mani nelle tasche di una categoria che ha già dovuto pagare pesantemente le scelte politiche ed economiche dei vari governi che si sono succeduti. È un errore e una profonda ingiustizia, resa ancora più insopportabile perché fatta di nascosto e senza passare da alcun confronto con i Sindacati che rappresentano milioni di pensionati”.