In queste ore i medici di tutta Italia stanno affrontando la loro più difficile battaglia contro il COVID-19, tra turni dalle ore interminabili e sacrifici enormi per garantire la continuità del servizio sanitario per le persone bisognose di cure.
Dagli occhi di questa infermiera, ogni volta che il suo turno in ospedale finisce, cadono lacrime di dolore pesanti come macigni. Francesca Rovati, un’infermiera dell’Ospedale Guglielmo Da Saliceto di Piacenza, ha deciso di raccontare ciò che lei e i suoi colleghi stanno vivendo in quest’ultimo periodo di piena emergenza nazionale. Le sue parole e le sue lacrime ci fanno capire ciò che prova durante i turni di lavoro in ospedale, ascoltando quel rumore incessante delle bombole di ossigeno nelle stanze dei pazienti.
“Noi non ci sentiamo eroi, siamo comunque figli, madri, genitori e il lato umano c’è e si sente ed è forte. Noi abbiamo i pazienti tutti lì, con i vari letti e con le loro bambole di fianco e questo rumore assordante dell’ossigeno è una cosa che ti accompagna tutto il turno.
E’ quasi brutto dirlo, ma viviamo alla giornata nel senso che i turni noi ce l’abbiamo il giorno per l’altro, eventualmente il giorno dopo, perché fra di noi succede che magari qualcuno si positivizza o qualcuno non sta bene e quindi chiaramente dobbiamo continuare a cercare di garantire il servizio 24 ore su 24.
Noi ci ritroviamo con persone dentro che stanno lì, anche da qualche giorno in attesa di un posto letto.
Anche oggi abbiamo avuto tante ambulanze che hanno portato tante persone che necessitano di ossigeno e queste persone non puoi mandare a casa.
I numeri sono sempre in aumento perché le persone sono nella fase in cui sono sintomatiche, quindi stanno sviluppando insufficienza respiratoria e quindi in automatico, abbiamo riscontrato un accesso molto più frequente rispetto agli ultimi giorni.
Vorremmo anche trovare il modo di riuscire a farli parlare con i parenti (e qui scoppia in lacrime) ma non è sempre facile, capite che se abbiamo solo 80, 90, 100 persone… dovremmo riuscire ad essere presenti anche per loro, per questa cosa che credo per me è la più importante. Non c’è un’età vera e propria, chiaro, l’anziano è più soggetto proprio perché è più debilitato, però stiamo vedendo anche tante persone di media età…”