Attualità

La sociologa Saraceno: “Riduciamo i paletti al reddito di cittadinanza. Temiamo più i poveri che imbrogliano che i ricchi che evadono”

Immagine Wikipedia: By Niccolò Caranti

La sociologa Saraceno è un’esperta di welfare ed è stata chiamata dal ministro Orlando a far parte del Comitato per la valutazione del rdc. Ecco le sue proposte, dopo i dati Istat sull’aumento della povertà: “Sì ai controlli, ma l’accesso sia più semplice. Ripensare il parametro dell’Isee e il requisito dei dieci anni di residenza in Italia. E’ stato un errore, poi, legare la misura all’attivazione lavorativa: le politiche attive servono ma devono essere per tutti, non solo per i poveri. Che vengono descritti come “nullafacenti”, gente che sta “sul divano”. Non si usa un linguaggio così violento per parlare di chi evade”

Abbiamo più paura dei poveri che imbrogliano che dei ricchi che evadono. Giusto fare i controlli, ma non fissare paletti che finiscono per escludere i poveri veri mentre chi vuole riesce comunque ad aggirarli”.

La sociologa Chiara Saraceno, esperta di welfare, ha affermato che il Reddito di Cittadinanza andrebbe associato in modo adeguato alla ricerca del lavoro: “E’ stato un errore. Le politiche attive del lavoro sono indispensabili ma devono riguardare tutti, non solo i poveri”.

Riportiamo l’intervista alla sociologa de “Il fatto Quotidiano”

Professoressa, i poveri assoluti sono aumentati di 1 milione. E si tratta in gran parte di persone con un lavoro.

I nuclei in cui nessuno è occupato sono una minoranza. La spiegazione è semplice: si tratta di lavoratori finiti in cassa integrazione oppure autonomi che a causa delle chiusure anti contagio hanno lavorato in maniera intermittente”.

Perché non sono stati raggiunti dal reddito di cittadinanza?

Il primo problema è che l’Isee necessario per chiederlo si riferisce all’anno precedente. In caso di perdita del lavoro o forte calo del reddito familiare si può utilizzare l’Isee corrente, ma vale solo per sei mesi. Un barista o una commessa che l’anno prima avevano lavorato e avevano qualcosa in banca difficilmente sono riusciti a rientrare tra i beneficiari”.

Per le famiglie di extracomunitari ha pesato il requisito dei dieci anni di residenza in Italia.

Anche la Ue ci ha chiesto di ridurlo. Un limite minimo c’è in tutti i Paesi, ma dieci anni sono troppi. Non a caso il reddito di emergenza introdotto durante la pandemia ha eliminato quel paletto. Non ho capito però perché non riformare subito il rdc e inventarsi invece una misura diversa, creando due categorie di poveri. Non ha senso, è come dire che chi è finito in povertà a causa del Covid ora è “meritevole” di aiuto mentre prima non lo era. In ogni caso anche il Rem è complicato da chiedere”.

Le procedure burocratiche scoraggiano chi è già in difficoltà?

“Ci sono troppi paletti che ostacolano i poveri veri e sono facilmente aggirati dai truffatori. Basta guardare il linguaggio che viene utilizzato: c’è più paura dei poveri che imbrogliano che dei ricchi che evadono. I poveri vengono descritti come “nullafacenti”, gente che sta “sul divano”. Non si usa un linguaggio così violento per parlare degli evasori fiscali”.

Alla narrazione del “divano” si lega l’idea che i beneficiari del reddito vadano attivati ricorrendo per esempio ai navigator.

“Legare il reddito alle politiche attive è stato un errore. Tra i percettori ci sono persone che lavorano già, oltre a molti che non sono in grado di lavorare per motivi di salute o perché hanno qualifiche bassissime che non li rendono facilmente occupabili. Le politiche attive possono incrociarsi con questa misura ma non devono sovrapporsi: riguardano tutti, non solo i poveri. Compresi ovviamente i percettori di reddito adulti e in grado di lavorare. Per tutti gli altri servono servizi diversi. Penso anche ai minorenni, perché dobbiamo evitare il circolo vizioso della trasmissione intergenerazionale della povertà. E la pandemia lo sta accentuando perché la dad penalizza di più chi non ha strumenti e sostegni in famiglia”.

A proposito: le famiglie numerose, penalizzate dalla scala di equivalenza del reddito, sono le più colpite dall’aumento della povertà.

Purtroppo è un problema sistematico che vediamo almeno da metà anni Novanta. All’inizio erano più a rischio gli anziani, ora lo sono i minori. Tanti minorenni vivono in famiglie monoreddito e l’incidenza è molto alta soprattutto nelle fasce di reddito più basse, che sono anche quelle in cui le donne tendono ad avere qualifiche inferiori. Si sommano tanti problemi insieme: i servizi pubblici di cura dei bambini sono pochi, quelli privati sono costosi e quando lo stipendio è basso lavorare non conviene. Il risultato è che il tasso di occupazione delle donne è molto basso e questo ha un impatto sulla condizione dei bambini. La miglior protezione dalla povertà è avere una mamma che lavora”.

Quali altri aspetti del reddito andrebbero rivisti?

Per rendere vantaggiosa la ricerca di lavoro da parte di chi è in condizione di farlo occorre cambiare il meccanismo per cui ogni euro in più guadagnato va a ridurre la somma che si riceve dall’Inps. In tutti i Paesi si consente di sommarli, in modo da incentivare l’attivazione. Il Reddito minimo di inserimento che fu sperimentato negli anni Novanta funzionava così”.

L’eventuale revisione del sussidio anti povertà andrà in parallelo con la riforma degli ammortizzatori.

Autonomi e partite Iva vanno tutelati come i dipendenti in modo da traghettarli fino a fine pandemia. Ma in molti casi oltre a proteggerne i redditi andranno anche accompagnati in un percorso di riqualificazione, perché non possiamo pensare che finita la pandemia tutto ricominci come prima e riaprano gli stessi negozi, bar e ristoranti. Serve un piano organico per preparare queste persone a cogliere opportunità nei settori in cui investiremo con il Piano di ripresa e resilienza. Altrimenti, invece che restringersi, i divari finiranno per ampliarsi”.