Vaccino si o vaccino no? Questo è un grande dilemma per i lavoratori che saranno costretti a decidere se riceverlo. Ma a quale condizione? Se si rifiuta, cosa può accadere? Quali gli obblighi del datore di lavoro?
Il dibattito sull’obbligatorietà del vaccino continua: c’è chi ritiene che sia giusto lasciare a ciascun individuo la facoltà di decidere se vaccinarsi o no, altri pensano invece, che si dovrebbe obbligare, almeno i lavoratori, a vaccinarsi, per uscire quanto prima dall’emergenza sanitaria e per lavorare in sicurezza. Da qui, quindi, gli interrogativi sui presupposti di legge che giustificherebbero azioni di tutela nei confronti di lavoratori, aziende e soggetti esposti al rischio contagio in generale.
Prima di tutto, cosa può fare (o non fare) il datore di lavoro di fronte a un dipendente che rifiuta il vaccino? Che tutele può attuare e quali sono i diritti – nonché i doveri – che la legge gli riconosce in questo caso?
Ricordiamo che il datore di lavoro è il principale garante della sicurezza e della salute dei lavoratori. Questo in linea con quanto affermato dalla stessa Costituzione che, all’art. 32, sancisce l’obbligo della tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo, anche (e soprattutto) in ambito professionale.
Lo Statuto dei lavoratori, all’art. 9, prevede inoltre la facoltà per i lavoratori di controllare l’applicazione delle norme di prevenzione sui luoghi di lavoro. L’azienda, quindi, ha delle responsabilità nei confronti dei propri dipendenti, i quali possono chiedere e devono pretendere il rispetto dei protocolli di sicurezza. Per far fronte ai rischi connessi alla pandemia da Covid, infatti, l’Inail – in vista della ripresa delle attività lavorative con accesso presso terzi o in presenza – ha predisposto precisi documenti tecnici con le indicazioni generali e le misure specifiche, organizzative e di prevenzione, finalizzate al contenimento della diffusione del contagio.
Alla luce di quanto detto, il datore di lavoro può imporre il vaccino ad un suo dipendente?
Al momento non esiste alcuna legge specifica che impone il vaccino Covid a dipendenti e ai lavoratori in generale, ma ci si sta orientando verso l’obbligatorietà.
Secondo la dottoressa Hana El Sahly, che supervisiona una sperimentazione clinica per il candidato vaccino di Moderna, gli ospedali potrebbero eventualmente rendere l’inoculazione del vaccino anti Covid una condizione di lavoro, proprio come accade con il vaccino antinfluenzale annuale, richiesto a tutto il personale medico.
Posto però che – come già detto – non è stata ancora approvata una legge che permetta al datore di lavoro di imporre ai propri dipendenti di vaccinarsi, cosa può fare l’azienda in questi casi?
Sulla questione si è espresso l’avvocato Aldo Bottini, partner dello studio legale Toffoletto De Luca Tamajo, che a Business Insider ha spiegato che: “se il vaccino è considerato una misura di protezione sia personale che per la collettività, il datore può considerare il lavoratore che non si sottopone alla profilassi temporaneamente non idoneo allo svolgimento della sua mansione perché impossibilitato a renderla in sicurezza”.
“Si tratta di un tema controverso, molto dibattuto. Ritengo che quando il lavoratore, pur potendo vaccinarsi rifiuti la somministrazione, sia inidoneo a lavorare in sicurezza – ha poi aggiunto il legale -. A quel punto il datore potrebbe decidere di non accettare più la sua prestazione e quindi non pagarlo”. E a giustificazione di questa azione, secondo l’esperto, entrerebbe in gioco quello che i giuristi definiscono un caso di “sopravvenuta temporanea impossibilità a rendere la prestazione lavorativa“, che rientra tra l’altro tra le cause di sospensione delle retribuzione.
Da qui, quindi, l’inevitabile conseguenza di sospendere lo stipendio al lavoratore in caso di rifiuto del vaccino anti Covid.