Un test che offre speranze e che promette di individuare un tumore prima che si manifesti.
Identificato con il nome ISET, è stato realizzato dall’oncologa Patrizia Paterlini-Brechot, e ne ha parlato nel suo libro “uccidere il cancro” (venduto da Mondadori al costo di 17.90). L’esame punta a scovare un tumore in fase precocissima, una speranza da questo male del secolo.
Molte persone hanno invaso studi medici e laboratori di analisi intenti a voler effettuare questo test, senza sapere se è davvero valido o solo in fase di sperimentazione. Cerchiamo di fare chiarezza su questo esame messo a punto dalla ricercatrice Paterlini-Brèchot.
Si tratta di una tecnica che, attraverso un esame del sangue, individua le cellule cancerose circolanti nell’organismo. L’obiettivo è arrivare alla diagnosi in anticipo rispetto a quanto non si riesca a fare ricorrendo alle tecniche di diagnostica per immagine: come Tac, Pet e risonanza magnetica. Ma per il momento la tecnica ha un grande limite: quello di non essere in grado di identificare l’organo da cui derivano le potenziali cellule tumorali». spiega l’oncologa.
L’ISET è un esame del sangue in grado di prevedere i tumori, un test morfologico. Cerchiamo di capire nel dettaglio come funziona.
Dopo un prelievo di sangue, il campione viene osservato accuratamente in laboratorio con lo scopo di indagare sulla presenza di cellule tumorali.
Attualmente molti laboratori di esami e di ricerca stanno lavorando sul’identificazione delle cellule tumorali osservando direttamente il sangue al microscopio e sono circa 40 i metodi diversi attualmente esistenti.
I dati, nello specifico, riguardano cellule neoplastiche polmonari, del colon-retto, della prostata, del seno, del pancreas, del fegato e del melanoma. I risultati, in futuro, potrebbero essere estesi a tutti i tumori.
Le cellule tumorali si differenziano da quelle normali per dimensione. Nelle persone sane troviamo solo tre tipologie cellulari: piastrine, eritrociti e leucociti. Quando tra queste compare una cellula più grande, che di norma non dovrebbe esserci, sia ha il sospetto che essa sia una cellula tumorale in fase di sviluppo.
No, se utilizzato per diagnosi precoce in soggetti sani. Una volta che il test ha dato esito positivo, occorre proseguire le indagini con Tac, risonanza magnetica. In questo modo si può sperare di scoprire un tumore prima che dia le prime avvisaglie.
Non ci sono dati che indichino che l’Iset sia migliore di altri test per identificare le cellule tumorali circolanti. Detto questo, un primo livello di indagine chiama in causa i malati oncologici, al fine di cogliere quanto prima l’inizio di un processo di diffusione metastatica.
Potrebbe essere più utile per la diagnosi precoce in persone sane. A causa della grande variabilità individuale e della natura eterogenea del cancro, l’analisi dei microRna a scopo diagnostico in soggetti sani è ancora una sfida.
Esiste questo rischio purtroppo, specialmente per un gruppo di tumori su cui oncologi e ricercatori hanno acceso un lungo e vivo dibattito. I tumori in questione sono quelli della prostata e della tiroide.
Al momento non ci sono notizie certe. Forse ciò potrà accadere in un futuro abbastanza lontano, quando tutti saranno d’accordo nell’affermare che questo metodo è molto più efficace di altri per diagnosticare il cancro.
Come specificato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica, la partita si gioca ogni giorno e potrà essere vinta soltanto attraverso una perfetta sinergia tra le diverse parti in causa: la prevenzione, la ricerca scientifica, la diagnosi precoce e le nuove terapie. Non sarà dunque un singolo test diagnostico a farci fare la differenza.
Gabriella Sozzi, direttore della struttura complessa di genomica tumorale dell’Istituto dei tumori di Milano, è un pò incerta circa l’efficacia e l’affidabilità di questo test.
«Intendiamoci, nessuno mette in discussione la professionalità dei patologi, cioè di chi esamina i campioni. Ma è una valutazione soggettiva. Inoltre non è possibile definire in modo preciso “a occhio nudo” la natura maligna delle cellule», afferma Sozzi.
Nella sua intervista continua dicendo: “Per questo oggi la ricerca si è spostata su altri test, più precisi. Sappiamo che il sistema immunitario ha come delle “scosse telluriche” quando si accorge della presenza delle cellule tumorali. Sappiamo anche che sia le cellule dell’organo danneggiato, sia quelle immunitarie rilasciano localmente e nel sangue i microRna, cioè delle piccolissime molecole molto specifiche. Riuscire a identificare questi segnali, ci permetterebbe di prevenire il terremoto, cioè il tumore. I dati preliminari ottenuti nella diagnosi precoce del cancro polmonare sono promettenti e ci hanno dimostrato che questo test è sensibile e specifico. Ora è in corso un vasto studio su 6000 volontari e avremo i risultati a fine 2019″.
Attraverso questo esame potrebbero generarsi diagnosi falsamente positive poichè tutti possiamo possedere cellule maligne che vagano nel nostro organismo ma, non tutte si trasformano in massa tumorale. Le nostre cellule sono dotate di meccanismi di riparazione, ma non solo: il nostro sistema immunitario, attraverso il suo speciale compito, è in grado di eliminarle, quando possibile.
Pertanto, l’idea che un semplice esame del sangue, da solo, funzioni per scoprire tutte le forme tumorali, è ancora un illusione e non una certezza.
Il consiglio degli oncologi è quello di associare test di questo tipo a esami, controlli, che permettono tutti insieme di scoprire un tumore con percentuale di guarigione quasi del 90%.
Tra i test da fare vi è la mammografia, biennale tra i 40 e i 45 anni e annuale dopo questa età, il pap test ogni due-tre anni, il test sulle feci per la ricerca del sangue occulto almeno due volte tra i 50 e i 60 anni.
Ricordiamo sempre che i primi a fare la diagnosi siamo noi: se avvertiamo eccessiva stanchezza inspiegabile, un neo che cambia struttura, un rigonfiamento sottocutaneo, è bene parlarne subito con il proprio medico.
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